Giorni fa su uno dei maggiori quotidiani della Calabria, l’unico che possa vantare di chiamarsi con lo stesso nome, CALABRIA ORA appunto, è stato pubblicato un REPORTAGE (è molto più altisonante presentare un articolo con questo termine poiché rimanda a un lavoro d’indagine e investigazione sul campo) su Platì, su questo paese aspromontano noto ormai ai media e alle maggiori testate giornalistiche nazionali ed estere. Noto alla gente di ogni dove che a Platì non ci metterà mai piede (spiegherò dopo perché) ma che allieta il palato con i suoi formaggi, i salumi e il pane (simbolo di Platì)… almeno questo! Potremmo dire.
Entro meglio nei dettagli appellandomi al diritto di replica. Diritto di replica? E che cosa voglio replicare? So che il direttore del quotidiano in questione, Piero Sansonetti, si è già scusato ma io voglio dire la mia sull’articolo pubblicato venerdì 15 Aprile 2011.
Venerdì mattina io ero a Milano, nel mio ufficio, quando mi arriva la telefonata di Rosario, uno dei miei migliori amici: “è uscito questo articolo, ad un certo orario potrai scaricarlo da internet ma leggilo prima di mangiare”. Mi son domandato e perché mai? Cosa ci sarà scritto al punto da far venire il voltastomaco? Il solo titolo ha suscitato rabbia e dispiacere. Ma perché tali parole e affermazioni? Tutto a un tratto spunta questo reportage ma dettato da cosa? Quale l’obiettivo? Be… penso che molti altri platiesi si siano posti le medesime domande.
Un po’ di storia per conoscere meglio questo paese:
Platì è un paese fondato agli inizi del XVI secolo. Era già un territorio popolato da qualche contadino, qualche baracca e una piccola chiesa, poi nell’anno 1505, Ferdinando il Cattolico, con suo Reale Decreto, da in feudo al nobile Carlo Spinelli una vasta estensione di terreni denominati Prati e S. Barbara. Il feudatario ne avviò una campagna di popolamento e crescita, fondando un villaggio chiamandovi degli abitanti dei luoghi vicini, accordando loro un suolo franco per costruirvi la propria casetta ed una piccola estensione di terra da coltivare. La ricchezza del territorio e il lussureggiante verde si ammirano tutt’oggi. Basta salire sul Monte Calvario per goderne la bellezza. In origine si è edificata una piccola borgata, che fu denominata casale del fondaco, e poi, ingrandita di più verso il 1704, da Prati fu detta Platì. Con i secoli passa di mano in mano a diverse famiglie nobili e feudatarie di cui i discendenti oggi sono sparsi per l’Italia e l’Europa. Diede i natali a poeti, scienziati, insigni professori di quelle che nel medioevo si chiamavano arti liberali, combattenti e briganti. E sì, anche briganti, senza imbarazzo nel dirlo perché anche quegli uomini fecero la storia. Il professore Giacomo Tassone Oliva, il poeta del vernacolo platiese Francesco Papalia conosciuto come Cicciu i Mastu Micheli, il brigante Ferdinando Mittica, nonché la prima notaio donna d’Italia Graziella Fera e tanti altri. Ogni paese ha una storia di cui vantarsi e anche Platì ce l’ha. È un paese che ha conosciuto le potenze devastanti della natura con le alluvioni e, i terremoti, è un paese che ha partecipato alle grandi guerre, è un paese che ha lasciato partire i suoi figli su grandi navi verso nuove terre di speranza in cui rifarsi una vita dopo che la propria fu martoriata dalle carestie, dalle battaglie (come quella che pose fine al Regno delle Due Sicilie) e dalla disoccupazione. Eppure il platiese non ha mai smesso di credere in certi valori e principi cardini di una società dettata da norme e regole ed elementi caratterizzanti la famiglia in senso cristiano. Perché la famiglia a Platì è sacra (in senso cristiano); lo so che anche negli altri paesi lo è ma io voglio sottolinearlo visto che Platì fin’ora è stato disegnato come un luogo diverso, tipo da far west, dove la gente non può parlare più di tanto e deve sempre guardarsi le spalle. A Platì la famiglia è sacra quindi, anche a Platì. È noto per i suoi piatti tipici, salumi, formaggi, il pane conosciuto anche al nord, le sue tradizioni e feste patronali. E sì, anche a Platì. La gente lavora… perdonate la banalità dell’affermazione ma è meglio precisarlo perciò ripeto: a Platì la gente lavora; anche a Platì. Quando un’alluvione nel 1951 causò morti e distruzioni ogni dì a mezzogiorno la gente del paese, vecchi, donne, bambini, portavano un masso ciascuno. Ogni giorno così, finché la chiesa matrice fu ricostruita. E la gente riprese a pregare davanti alla Madonna di Loreto. Perché la gente prega a Platì, anche a Platì. E’ uno dei paese più prolifici d’Europa. Si fanno molti figli in questo cuore d’Aspromonte e sono loro la vera ricchezza: i bambini.
QUI ANCHE I BAMBINI SONO BAMBINI
Non si offendano i giornalisti Ilario Filippone e Daniela Ursino se mi soffermo sul titolo, che in prima pagina presentava tale reportage, ricambiandone il tono perché il loro diceva “QUI ANCHE I BAMBINI SONO MAFIOSI” io, dico che ciò sa di MENZOGNA, BLASFEMIA, DENIGRAZIONE. È addirittura anticristiana un’affermazione simile ma forse questo interessa poco ai signori di cui sopra. Ma mi domando come si fa a fare notizia sui bambini? L’anima di una società, la speranza di un popolo. Come si fa? Ma ci si rende conto? Stiamo parlando dei bambini. Gesù Cristo disse “lasciate che vengano a me” mentre in quel titolo sembra si dica “lasciate che vadano”, che vadano allo sbaraglio perché ormai anche loro fanno parte di un male; male di cui io sono stanco di sentirne parlare. Penso a uno di quei ragazzi che venerdì scorso ha letto il giornale (scusate se cado di nuovo nella banalità ma anche a Platì i bambini leggono) e mi domando cosa possono aver pensato. I ragazzi girano senza casco per il semplice fatto che non vi è la concezione, tutto qua, e senza farne una colpa. Non che non si conosca il codice della strada ma ancora non si è pronti per il casco. A Platì certi cambiamenti avvengono pian piano. In un paese di poco più di quattromila anime, dove tutti si conoscono e si mantengono usi e costumi, alcuni molto antichi, le novità prima di aderire e radicarsi nel substrato della mentalità di un popolo tradizionalista, richiedono tempo. Ma il punto non è il casco ma i titoli dati ai ragazzini. Preciso: non esistono “motovedette”, non esistono i “bambini sentinella” e nessuno si da il cambio per spiare e osservare e magari fare rapporto al quartier generale dei movimenti che avvengono in paese. È naturale che il forestiero sia subito notato com’è naturale che gli si venga subito aperta la porta per ospitarlo e presentargli una tavola bandita di ogni bene, frutto del duro lavoro dell’uomo che sia contadino, pastore, commerciante ecc. A Platì l’ospite è sacro e ce l’hanno insegnato gli antichi greci così come il banchetto post mortem per commemorare (se si può serenamente) il defunto o il ballo della tarantella per festeggiare i novelli sposi (antico ballo propiziatorio). A Platì c’è del SACRO che comincia sull’altare di Nostro Signore davanti alla Madonna di Loreto, cui tutti i Platiesi vicini e lontani sono devotissimi. E il prete a Platì non ha il vieto di aprire bocca, assolutamente. Sarebbe una contraddizione che il predicatore per eccellenza non potesse parlare. Un’altra cosa: SUOR ANNALISA ha smentito le parole che i giornalisti hanno riportato e l’ha riferito alla sua gente con tanto di discorso dall’altare. Non ce n’era bisogno carissima Suor Annalisa perché sappiamo che lei crede nella gente di Platì e nei suoi bambini ma soprattutto che questo non è un “paese surreale”.
Le chiavi rimangono attaccate alla porta perché ci si fida del vicino. E se per caso ci si accorge che è terminato il pane da mettere in tavola e magari è domenica e gli ospiti stanno per arrivare, si bussa (o si gira semplicemente la chiave) dal vicino.
Una cosa è vera, ci sono delle mancanze socio-culturali e ludiche, pensando soprattutto ai bambini, ma non per colpa dei Platiesi ma per vicende storico-politiche che bisogna approfondire in altra sede.
Quindi, carissimi sig. Filippone e Ursino, che con cotanta perizia avete stilato tale reportage, mi chiedo quanto tempo avete passato a Platì da riportare tali affermazioni? Quanti bambini di Platì avete conosciuto? Qual è la vostra fonte?
V’invito io a fare un bel reportage su Platì. Vi farò da Cicerone. V’invito per lavorare insieme con noi, io e altri ragazzi che già ci siamo mobilitati, per una Platì migliore.
Io mi chiamo Francesco Violi e sono stato un bambino di Platì. Oggi sono Responsabile Formazione di tre collegi universitari d’eccellenza nel capoluogo lombardo. Mi porto dietro quella che si può definire cultura della strada. Mi è stata data a Platì e ne vado fiero. Aggiungo che sono il nipote del fu sindaco Domenico Demaio che tutti oggi ricordano, visto che nell’articolo è stato citato.
Finisco dicendo ai genitori di Platì non smettete di educare mentre ai bambini, non smettete di inseguire i vostri sogni.
Grazie