La cattedra narrante - Perché dobbiamo studiare la storia?
Una società che vive solo nel presente, senza ricordare il passato e senza sognare il futuro, diventa una società chiusa, rattrappita, che perde la sua forza.
Se non sappiamo da dove veniamo, come possiamo capire dove vogliamo andare?
Lo so! sembra la solita domanda retorica ma... pensateci, pensiamoci: ogni pagina di storia nei nostri libri di scuola non è solo una lezione, ma un pezzo della grande avventura dell'umanità.
E avere la fortuna di incontrare un insegnante che sappia raccontare quella storia con passione è come avere una mappa preziosa tra le mani: ti aiuta a orientarti nella vita.
Ma perché è davvero così importante studiare la storia?
Perché, come ci ricordano due grandi storici – Jacques Le Goff e Marc Bloch – la storia non è fatta solo di eventi e di date, ma di domande e di spiegazioni.
Per Le Goff, la storia non è un semplice elenco di fatti, ma un tempo continuo che l’uomo cerca di ordinare e di capire. È un mosaico di continuità e rotture, un grande racconto che serve a leggere il passato per dare un senso al presente e a custodire la memoria collettiva di chi siamo.
Marc Bloch, invece, diceva che fare storia è come cacciare: lo storico è un cacciatore di tracce e di segreti, un artigiano che deve saper fare le giuste domande per trasformare le fonti in risposte vive. La storia, diceva, non è una scienza del passato, ma una scienza del cambiamento.
Studiare la storia, per Bloch, vuol dire imparare a guardare il mondo con occhi nuovi, con la curiosità di chi sa che ogni società è un intreccio di uomini, sogni e battaglie, e che niente resta fermo.
Ecco perché imparare la storia ci rende più liberi: perché ci insegna a pensare, a capire che anche noi possiamo lasciare un segno, proprio come chi ci ha preceduto.
Perché se ci pensate, una società prigioniera del presente non progetta futuro e non ha memoria del passato.
Cova rancori e paure, riuscendo solo ad adattarsi: al desiderio sostituisce le pulsioni, al progetto l’annuncio, alle passioni le emozioni. Diventa una società rattrappita.
E questa schiavitù del presente ha portato perfino a un mutamento antropologico dell’uomo occidentale: nella vita privata, nella sfera dei sentimenti e delle relazioni, nella dimensione pubblica – dalla politica all’economia, dalle istituzioni alle imprese.
Il presentismo celebra il primato della tecnologia che domina e ci domina, della finanza senza redistribuzione della ricchezza.
Assembla il virtuale in un’eterna connessione e rende opaco il reale, fino a farlo sfumare.
Lascia senza risposte le due grandi domande del mondo globalizzato: la sicurezza e la possibilità di crescere nel benessere.
Ma da questa prigione si può uscire, se partiamo dalla consapevolezza di quanto siamo ormai scollegati dal passato e dal futuro.
E come diceva Albert Camus: «Il senso della vita è resistere all’aria del tempo.»
Studiare la storia ci aiuta proprio a resistere, a non essere trascinati dal vento che cambia ogni giorno.
A dirci, come ripeteva Marc Bloch, che la storia non è un lusso, ma una fame di sapere, un bisogno profondo di umanità.
Fonti
- Jacques Le Goff, Il tempo continuo della storia. Laterza, 2014.
- Jacques Le Goff, La memoria. In Storia e memoria, Einaudi, 1982.
- Marc Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico. Einaudi, 1949.
- Giuseppe De Rita, Antonio Galdo, Prigionieri del presente. Come uscire dalla società senza memoria e senza futuro. Feltrinelli, 2019.
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