La cattedra narrante - Perché dobbiamo studiare la storia?

“La Torre di Babele” di Pieter Bruegel il Vecchio


Una società che vive solo nel presente, senza ricordare il passato e senza sognare il futuro, diventa una società chiusa, rattrappita, che perde la sua forza.
Se non sappiamo da dove veniamo, come possiamo capire dove vogliamo andare?

Pensateci, pensiamoci: ogni pagina di storia nei nostri libri di scuola non è solo una lezione, ma un pezzo della grande avventura dell'umanità.
E avere la fortuna di incontrare un insegnante che sappia raccontare quella storia con passione è come avere una mappa preziosa tra le mani: ti aiuta a orientarti nella vita.

Ma perché è davvero così importante studiare la storia?
Perché, come ci ricordano due grandi storici – Jacques Le Goff e Marc Bloch – la storia non è fatta solo di eventi e di date, ma di domande e di spiegazioni.
Per Le Goff, la storia non è un semplice elenco di fatti, ma un tempo continuo che l’uomo cerca di ordinare e di capire. È un mosaico di continuità e rotture, un grande racconto che serve a leggere il passato per dare un senso al presente e a custodire la memoria collettiva di chi siamo.

Marc Bloch, invece, diceva che fare storia è come cacciare: lo storico è un cacciatore di tracce e di segreti, un artigiano che deve saper fare le giuste domande per trasformare le fonti in risposte vive. La storia, diceva, non è una scienza del passato, ma una scienza del cambiamento.
Studiare la storia, per Bloch, vuol dire imparare a guardare il mondo con occhi nuovi, con la curiosità di chi sa che ogni società è un intreccio di uomini, sogni e battaglie, e che niente resta fermo.

Ecco perché imparare la storia ci rende più liberi: perché ci insegna a pensare, a capire che anche noi possiamo lasciare un segno, proprio come chi ci ha preceduto.

Perché se ci pensate, una società prigioniera del presente non progetta futuro e non ha memoria del passato.
Cova rancori e paure, riuscendo solo ad adattarsi: al desiderio sostituisce le pulsioni, al progetto l’annuncio, alle passioni le emozioni. Diventa una società rattrappita.
E questa schiavitù del presente ha portato perfino a un mutamento antropologico dell’uomo occidentale: nella vita privata, nella sfera dei sentimenti e delle relazioni, nella dimensione pubblica – dalla politica all’economia, dalle istituzioni alle imprese.
Il presentismo celebra il primato della tecnologia che domina e ci domina, della finanza senza redistribuzione della ricchezza.
Assembla il virtuale in un’eterna connessione e rende opaco il reale, fino a farlo sfumare.
Lascia senza risposte le due grandi domande del mondo globalizzato: la sicurezza e la possibilità di crescere nel benessere.

Ma da questa prigione si può uscire, se partiamo dalla consapevolezza di quanto siamo ormai scollegati dal passato e dal futuro.
E come diceva Albert Camus: «Il senso della vita è resistere all’aria del tempo.»
Studiare la storia ci aiuta proprio a resistere, a non essere trascinati dal vento che cambia ogni giorno.
A dirci, come ripeteva Marc Bloch, che la storia non è un lusso, ma una fame di sapere, un bisogno profondo di umanità.

Fonti
  • Jacques Le Goff, Il tempo continuo della storia. Laterza, 2014.
  • Jacques Le Goff, La memoria. In Storia e memoria, Einaudi, 1982.
  • Marc Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico. Einaudi, 1949.
  • Giuseppe De Rita, Antonio Galdo, Prigionieri del presente. Come uscire dalla società senza memoria e senza futuro. Feltrinelli, 2019.

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