Nel 2019, una ricerca condotta da Luigi Vigliotti, dell’Istituto di scienze marine del CNR-ISMAR di Bologna, in collaborazione con Jim Channell dell’Università della Florida, ha proposto una spiegazione rivoluzionaria per uno dei più grandi misteri della preistoria: l'estinzione dell’uomo di Neanderthal. Pubblicata sulla rivista Reviews of Geophysics, questa scoperta offre una nuova chiave di lettura per comprendere la scomparsa di una specie che abitò l’Europa per circa 160.000 anni.
Un mistero millenario
La scomparsa dei Neanderthal, avvenuta circa 40.000 anni fa, è stata a lungo oggetto di dibattito. Le teorie spaziano dall’inferiorità tecnologica rispetto ai Sapiens alla competizione per le risorse, fino a possibili incroci genetici. Tuttavia, nessuna di queste ipotesi ha mai trovato un consenso unanime. La ricerca italiana, invece, punta il dito contro un evento cosmico: il crollo del campo magnetico terrestre.
La scienza dietro l’ipotesi
Il campo magnetico terrestre, uno scudo naturale contro i raggi ultravioletti (UV), subì un indebolimento significativo proprio 40.000 anni fa. Questo fenomeno, secondo i ricercatori, avrebbe esposto i Neanderthal a livelli pericolosi di radiazioni UV. La chiave di questa vulnerabilità risiederebbe in una variante del gene AhR, particolarmente sensibile alle radiazioni. Questa combinazione genetica, unica nei Neanderthal, potrebbe averli resi incapaci di adattarsi a un ambiente divenuto improvvisamente ostile.
Un nuovo tassello nella storia dell’umanità
Questa scoperta non solo arricchisce il dibattito scientifico, ma solleva domande affascinanti sul rapporto tra genetica, ambiente e sopravvivenza. Se da un lato ci ricorda la fragilità della vita di fronte ai cambiamenti ambientali, dall’altro ci invita a riflettere sull’importanza della ricerca interdisciplinare, che ha permesso a scienziati italiani e americani di collegare biologia, genetica e geofisica in una narrazione coerente.