Lo vedo, con i suoi riccioli bianchi e quelle sopracciglia che sembrano contenere il peso di pensieri silenziosi. Si china sul pacco, mani ferme e decise, mentre tira, avvolge, annoda. È un rito. Le dita scorrono sullo spago come un artigiano che modella l’argilla, un artista che compone una melodia invisibile fatta di gesti e tensioni. Ogni nodo è un sigillo, ogni intreccio una promessa.
Dentro quei pacchi ci sono i profumi della mia infanzia: il pane che mia madre cuoce ancora nel forno antico, seguendo la ricetta delle donne di Platì; il sapore intenso dell’olio; i dolci che sanno di festa. Sono pezzi di casa, di una vita che ho lasciato, ma che mio padre sembra voler richiamare, pezzo dopo pezzo, spago dopo spago.
Mi racconta, senza bisogno di parole, che quei nodi non sono solo per tenere insieme il pacco: sono un’eredità. Mio padre li ha imparati da suo padre, mio nonno Ciccio. Mi immagino mio nonno, mulattiere come suo padre, con il viso scurito dal sole e le mani forti di chi viveva in simbiosi con la terra. Ogni volta che partiva per un viaggio, legava i carichi con la stessa meticolosità, perché quei nodi non erano solo legami materiali: erano certezze. Un carico sicuro significava proteggere ciò che aveva di più caro, il frutto del suo lavoro e del suo amore per la famiglia.
Forse mio nonno si esercitava da ragazzo, mentre osservava la natura e i suoi ritmi. Forse ogni nodo che stringeva era un modo per sentirsi in sintonia con quella terra aspra e generosa che ti chiede tanto, ma che sa ricambiare con bellezza e abbondanza.
E mio padre ha preso quel gesto e lo ha fatto suo. Lo vedo mentre piega la testa, concentrato, e il suo silenzio è pieno di cose non dette, di parole che non ha bisogno di pronunciare. Ogni nodo è una dichiarazione: “Mi prendo cura di te. Sei sempre parte di questa casa.”
Io quei nodi cerco di scioglierli con la stessa cura con cui sono stati legati. Tagliassi lo spago, sarebbe come tradire quel gesto che ha richiesto impegno e tempo, come spezzare un legame invisibile ma profondo. Non posso tagliare quella corda. Ogni nodo merita di essere sciolto con il rispetto e la pazienza con cui è stato fatto, come se sciogliendolo, stessi decifrando un messaggio, una cura che viaggia da sud a nord. Ho una scatola piena di quei fili, annodati e accartocciati, che per me non sono solo spago: sono storie, legami che viaggiano, da un padre a un figlio.
Quando apro i pacchi, il profumo del pane e delle prelibatezze fatte in casa invade la stanza. Mi fermo un attimo, chiudo gli occhi, e in quel momento non sono più nel mio appartamento del nord: sono lì, in cucina, con mia madre che impasta e mio padre che lega con la stessa precisione e dedizione con cui un tempo i mulattieri caricavano i loro animali per attraversare l’Aspromonte.
Quei nodi sono un ponte tra generazioni, tra un mondo che cambia e una tradizione che resiste. Sono un simbolo di cura, di appartenenza, di un amore che non ha bisogno di gesti plateali, ma vive nelle cose semplici. E ogni volta che ricevo uno di quei pacchi, sento che i nodi di mio padre mi tengono ancora stretto a quella terra, a quella casa, a lui.