La cattedra narrante: Il muro di Spartaco, una traccia dall’Aspromonte
C’era una strana quiete sul crinale dell’Aspromonte quel giorno. L’aria era pregna del profumo di pini e di erbe selvatiche, mentre il sole si insinuava tra le vette come a cercare di svelare un segreto nascosto per secoli. E forse lo aveva trovato.
In un punto impervio, difficile da raggiungere, alcuni volontari del Fondo per l’Ambiente Italiano (FAI) si imbatterono in affioramenti di pietre coperte di muschio. Quelle pietre, apparentemente ordinarie, erano in realtà tracce di una muraglia antica, estesa per oltre 2,7 km, riconducibile, con molta probabilità, al “muro di Spartaco.”
Studiando le tracce di insediamenti magnogreci e romani nel Parco dell’Aspromonte, un team di esperti formato dal professor Domenico Vespia del Gea (Gruppo Escursionisti d’Aspromonte), dal professor Franco Prampolini dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, dagli architetti Rocco Gangemi e Dina Porpiglia, e da altri ricercatori, giunse alla conclusione che il manufatto fosse antico per posizionamento, architettura e struttura, e attribuibile a un’azione militare in epoca repubblicana.
Un passato che parla
Era il 73 a.C. quando Spartaco, un gladiatore trace di straordinario carisma, fuggì dalla scuola gladiatoria di Capua insieme a circa 70 compagni, tra cui i suoi principali luogotenenti, Crixo e Enomao. La loro rivolta si trasformò presto in una guerra su vasta scala, attirando migliaia di schiavi in cerca di libertà. Spartaco, leader abile e stratega, fu in grado di infliggere numerose sconfitte all’esercito romano, sfruttando il terreno accidentato e la mancanza di coesione tra i suoi nemici.
Il Senato romano, inizialmente sottovalutando la ribellione, inviò comandanti di basso rango come Gaio Claudio Glabro, che subì una disastrosa sconfitta. Solo quando la ribellione assunse proporzioni enormi, Roma incaricò Marco Licinio Crasso, un ricco e spietato generale, di sopprimere la rivolta. Crasso, sostenuto dalla disciplina e dalla brutalità delle sue legioni, impiegò tattiche spietate, come la decimazione, per ristabilire il controllo e fermare l’avanzata dei ribelli.
Nonostante il genio strategico di Spartaco, la divisione interna tra i ribelli, con Crixo che guidò un gruppo separato di Galli e Germani verso una rovinosa sconfitta, indebolì le forze insurrezionali. La battaglia finale avvenne nel 71 a.C., nei pressi del fiume Silaro. Spartaco morì combattendo, e i suoi seguaci furono massacrati o crocifissi lungo la Via Appia, un monito cruento alla ribellione.
L’archeologia della resistenza
Il ritrovamento è stato anche al centro di un convegno a Cittanova, dove sono intervenuti il professor Paolo Visonà, docente di fama internazionale all’Università del Kentucky, il professor George M. Crothers, antropologo e geofisico, Margo T. Crothers, e James R. Jansson, fondatore della Foundation for Calabrian Archaeology. Attraverso sopralluoghi e studi interdisciplinari, il team ha contribuito a confermare la rilevanza storica e culturale del muro.
Un’eredità dimenticata
L’Aspromonte, così remoto e misterioso, è stato spesso teatro di storie dimenticate. Questo muro, che potrebbe appartenere alla ribellione di Spartaco, ci invita a riflettere su un passato fatto di lotte per la libertà, di uomini e donne che sfidarono l’inevitabile. È un’eredità che non si limita alla pietra, ma che parla attraverso i secoli, ricordandoci che anche nelle situazioni più disperate, c’è chi trova il coraggio di resistere.
Tra storia e mito
Forse non sapremo mai con certezza se Spartaco abbia camminato su quelle pietre. Ma il solo pensiero che quell’uomo, divenuto simbolo universale di libertà e ribellione, possa aver trovato rifugio in Aspromonte, dà a quel muro un’aura speciale. Come tutte le grandi storie, anche questa mescola storia e mito, lasciando spazio all’immaginazione. E in fondo, è proprio questo che rende la storia viva: la capacità di farci sognare.
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